domenica 22 gennaio 2012

Bolivia. Il viaggio di Stefano.

TURISTI A LA PAZ
L’aeroporto di La Paz si trova nella zona di El Alto, a una decina di chilometri dal centro e a 4050 sul livello del mare. Molti turisti arrivano in Bolivia da qui. Nei paesi poveri, le città con un alto numero di turisti internazionali tendono ad essere i luoghi attraverso cui filtrano le idee, le mode, gli stili di vita del mondo ricco. A La Paz sembra non essere così. Come tante gocce d’olio in un contenitore d’acqua, i molti turisti che passano dalla capitale non sembrano mai contaminare la popolazione boliviana.
I turisti, di ogni fascia di età ma tutti con atteggiamenti, modi e costumi di stile giovanilistico, contrastano con la popolazione locale, ancorata fortemente alla realtà indigena. Un sessantenne turista nordamericano non veste in maniera molto diversa da un suo conterraneo ventenne, pratica più o meno lo stesso tipo di turismo, visita più o meno gli stessi luoghi suggeriti dalla guida Lonely Planet, frequenta gli stessi ristoranti “tipici” e acquista la stessa paccottaglia stereotipata.
La popolazione locale, pur relazionandosi coi ricchi stranieri all’interno dei mercati, negli hotel o nei bar, mantiene nettamente distinta la propria identità. Il vecchietto boliviano veste e si comporta da vecchietto, tanto quanto il giovane boliviano veste e si comporta da giovane.
Se la retorica indigenista del presidente Morales non ha risolto i tanti problemi del paese, ha sicuramente contribuito a rafforzare l’orgoglio di molti boliviani nei confronti della propria identità e della propria tradizione.
DANZE A ORURO
La città di Oruro si trova a 3700 metri sull’altipiano meridionale. Nella storia la sua fama è dovuta alla presenza di numerose miniere. Oggi è importante per il suo carnevale, che pare essere uno dei più belli del mondo. La vita dei suoi abitanti si divide tra la l’inferno della miniera, nelle migliaia di budelli scavati nei secoli sotto le fredde montagne dell’altipiano e la gioiosità delle danze.
Per lo standard boliviano, il minatore gode di una retribuzione mediamente buona e di un’aspettativa di vita mediamente corta. Sembra essere questo uno dei motivi della bassa capacità di risparmio di questi lavoratori. Gli alti salari vengono dilapidati immediatamente, in maniera incomprensibile per un europeo. Il minatore segue la logica per cui, se a causa delle condizioni della miniera la sua vita sarà breve, non ha senso metter via denaro, gli conviene spenderlo tutto subito.
Il tempo che non si dedica al lavoro viene impiegato nelle manifestazioni sindacali e sociali e nelle prove del carnevale. Quasi ogni giorno si tengono cortei, sfilate e manifestazioni rivendicative delle diverse categorie di lavoratori e di cittadini e ogni giorno nella piazza sottostante il santuario della Virgen del Socavon, gruppi di studenti, di giovani e di adulti, si allenano insieme nella danza, nelle configurazioni e nei suoni della quale si concretizza l’atmosfera di un carnevale quotidiano.
Manifestazioni sindacali e danze tradizionali sembrano mosse dallo stesso spirito e si integrano a tal punto che, spesso, per un visitatore esterno è difficile distinguere un corteo di lavoratori da una sfilata danzante.
Lo spirito dionisiaco del carnevale dura tutto l’anno e sembra voler controbilanciare la durezza e la tristezza di una vita spesa a scavar buchi sotto terra.


BAMBINI ORFANI IN GITA A UYUNI
La Gota de Leche è un orfanotrofio di Oruro. Le biografie dei bambini ospiti disegnano la mappa di un piccolo inferno dell’infanzia. La struttura è stata costruita con il contributo di organizzazioni internazionali ed il personale si prende amorevolmente cura dei piccoli boliviani in un contesto di grande dignità.
Il Salar de Uyuni è una delle principali mete dei turisti. Un immenso lago salato sull’altopiano a otto ore di strada da Oruro.
Un freddo sabato di agosto, Gabriele, un volontario italiano, assieme ad alcune educatrici, organizza una gita al Salar con una trentina di bambine e bambini. Si viaggia di notte in autobus e si visita il lago salato a bordo di quattro fuoristrada.
I bambini un po’ più grandi si prendono cura dei più piccoli, nessuno si lamenta e tutti si attengono con rispetto e puntualità alle indicazioni delle educatrici. Nel grande deserto di sale ascoltano con interesse le spiegazioni della guida e inseguono con curiosità gli spostamenti delle vicugne. Poco lontano, un gruppo di lavoratori con la faccia bruciata dal sole estrae il sale a colpi di badile.
Dietro i pochi anni di ciascuno di questi bambini si cela la realtà di un disastro familiare, un breve passato che nessuno vuol ricordare.
Nella solidarietà di un’esperienza collettiva, nella magnificenza di un paesaggio straordinario, nella potenza dell’esperienza estetica, si intuisce la promessa di un futuro per il quale anche la vita del più povero orfano di Bolivia può trovare un senso e un’attesa di felicità.


TAZEBAO A COCHABAMBA
Al centro di plaza 14 de septiembre di Cochabamba, si trovano alcuni tazebao, sui quali, ogni giorno, vengono affisse le pagine dei principali giornali nazionali, glossate a pennarello dai gruppi di opposizione con sintetiche e taglienti frasi di commento. Le notizie riguardano sia la politica nazionale che quella internazionale. Il commento e la critica hanno chiaramente l’obbiettivo di smascherare le bugie, di evidenziare le reticenze o di disvelare le ipocrisie attraverso cui, i giornali del paese tendono a formare l’opinione pubblica.
Attorno ai tazebao staziona costantemente un nugolo di persone che, cogliendo l’opportunità di leggere gratuitamente la rassegna stampa, ne assume contemporaneamente la critica, scritta con pennarelli colorati e con la sottile ironia che spesso rivela la realtà nascosta sotto la retorica giornalistica.
Dal punto di vista dello sviluppo delle capacità di analisi della popolazione, il sistema pare molto più efficace della esondante massa di informazione che tracima dalle televisioni e da internet nei paesi ad alto tasso di sviluppo, la quale, in molti casi, come un’alluvione non lascia che una spianata di fango informe nelle coscienze.
Ogni cittadino di Cochabamba che si trovi a passeggiare nel centro della città può, invece, fermarsi a consultare liberamente l’informazione dei giornali, leggerne la critica tracciata a pennarello e commentarla con i presenti.


EL LINDE DE COCHABAMBA
Nel quartiere di Linde, all’estrema periferia della città, mi sono quindi recato a conoscere e a visitare il “taller” (laboratorio) tessile di prodotti di artesania (artigianato) intitolato a p. Josè Sartori, Servo di Maria, amico nostro, recentemente scomparso, che ha dato un forte impulso alla sua costituzione e che l’ Associazione di volontariato “Sulle orme dei Servi-verso il mondo”, di cui faccio parte, ne sostiene l’attività. Il mio obiettivo era vedere, capire, suggerire e riferire ai Soci in Italia circa l’andamento dell’attività del laboratorio stesso e anche “prelevare” dei capi di vestiario già pronti per essere portati in Italia. In questo laboratorio lavora un gruppo di donne di mezza età, tutte con figli da mantenere e per lo più prive dell’aiuto del marito, di umilissima, se non di povera condizione economica, che realizzano scialli e maglioni con le tecniche tradizionali e con l’ausilio di alcune macchine utensili acquistate con il nostro contributo. I loro prodotti vengono poi distribuiti anche in Italia, nei vari mercatini organizzati dall’Associazione.
Il laboratorio, oltre a garantire alle “madres” il principale cespite di reddito, consente loro di incontrarsi regolarmente per il lavoro e socializzando buona parte del proprio tempo, costituiscono una piccola comunità di fini, che consente loro di reagire all’abbandono e alla solitudine, situazioni alle quali sono spesso condannati i poveri nelle periferie delle grandi città boliviane.


ARCHITETTURA COLONIALE A SUCRE E ARGENTO A POTOSI’
All’interno dell’ex cappella dei gesuiti di Sucre fu proclamata l’indipendenza della Bolivia. La città, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, ha una struttura a griglia di bianchi edifici coloniali.
Nella chiesa francescana della Recoleta, un coro intagliato raffigurante i martiri crocifissi a Nagasaki nel 1595, ricorda quanto la città fosse connessa col resto del mondo al tempo della dominazione spagnola.
Il centro dell’interesse turistico di Potosi è la Casa Nacional de Moneda, costruita a metà del 1700 per stampare le monete coloniali. Il Cerro Rico, che fa da sfondo alla città, fu la più grande miniera d’argento del continente ed è la ragione per cui questa città, che ai tempi del suo massimo splendore raggiunse i duecentomila abitanti, venne costruita in questo luogo, a oltre 4000 metri sul livello del mare.
Ancora oggi cooperative e singoli minatori ne scavano le viscere alla ricerca dell’argento residuo. Le agenzie turistiche, nell’intento di sfruttare la fama di Potosi, offrono visite guidate all’interno delle miniere. La terribile condizione del minatore viene così trasformata in un’esperienza turistica.


MARCIA INDIGENA
Sugli autobus, i notiziari delle radio parlano in continuazione della marcia indigena. Migliaia di boliviani appartenenti alle comunità indigene chiedono di fermare i lavori di costruzione della strada che dovrebbe collegare i porti brasiliani dell’Atlantico con la costa del Pacifico, attraverso chilometri di foresta boliviana. Le comunità chiedono il rispetto della terra dei loro avi e, con essa della loro identità. Il governo del presidente Morales si trova così lacerato tra l’impegno verso la propria base elettorale ed un consenso fondato sull’orgoglio indigeno da una parte e gli accordi col Brasile e la sfida dello sviluppo dall’altra.
Le strade fanno transitare le merci, favoriscono i commerci ma alterano lo stile di vita tradizionale e l’economia locale. Le merci sono il veicolo attraverso cui penetra uno stile di vita diverso e questo, per le popolazioni indigene è un elemento che confligge con la difesa della propria identità. Tutti questi aspetti sembrano molto chiari nella coscienza dei boliviani.
Seppur la storia, la cultura e il livello di benessere collochino la Bolivia in una situazione molto diversa da quella europea, anche qui, la contraddizione tra esigenze dello sviluppo e bisogno di difesa della propria identità rimane un grande problema irrisolto. L’autostrada che attraversa la foresta boliviana come l’alta velocità Torino Lione, gli indigeni come i No Tav, rendono manifeste in tutto il mondo l’invasività e la violenza intrinseche all’ideologia dello sviluppo.
PRETI
I padri serviti di Oruro hanno attraversato l’ultimo mezzo secolo di storia boliviana nel contatto quotidiano con la parte più povera della popolazione. Gestiscono un comedor popular e una clinica nei pressi del santuario della Virgen del Socavon. Guidano la vita pastorale dedicando particolare attenzione alle attività sociali della comunità. Lontani dai riflettori del mondo, mostrano di conoscere la realtà indigena molto meglio dei tanti editorialisti ed opinionisti che scrivono sui giornali.
Sull’altipiano, l’adesione al cristianesimo della popolazione rimane mescolata alla millenaria tradizione religiosa andina. L’arduo lavoro di rielaborazione del cristianesimo, che questi padri operano sopra un tessuto di valori profondamente radicato nella storia indigena, richiama la sofferta bellezza di quelle chiese, costruite qualche secolo fa in molti angoli della Bolivia, dove lo stile europeo veniva reinterpretato con i materiali e la manodopera del luogo, dando origine al meraviglioso ed originale stile barocco meticcio.


Venezia, autunno 2011

Stefano Boschini


Nelle foto sopra: Madres del taller "P. Josè Sartori" di Linde-Cochabamba al lavoro.

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