martedì 30 novembre 2010

Care/i tutte/i,
Vi inviamo in allegato una riflessione che Stefano, Sociodella nostra Associazione, ha tratto dalla sua personale esperienza vissutaquesta estate in Mozambico, visitando la Missione dei Servi di Maria di Matolaretta da p. Pietro Andriotto.
E’ un articolo interessante, che vi invitiamo a leggere.
Traspare, infatti, da queste righe, l’impatto per alcuni aspetti drammaticodi uno di noi a contatto con una realtà fortemente connotata da una notevolepovertà materiale sofferta dalla popolazione, che sconfina, purtroppo, anchenella miseria di alcuni suoi comportamenti .
La novità dei luoghi, la bellezza della natura riescono solo in parte amitigare lo sconcerto e il senso di amarezza che possiamo cogliere nell’analisitratta da questa esperienza.
Ringrazio di cuore Stefano a nome di tutti i Soci dell’Associazione per l’opportunità di analisi e di riflessione offertaci con questo suo scritto.

Michele

MOZAMBICO, AFRICA
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Il 20 agosto scorso, scendendo all’aeroporto di Maputo, ho messo piede per la prima volta nell’Africa sub-sahariana. Avevo un appuntamento con Carlito, meccanico di 26 anni che lavora presso il Centro Lar-Nueva Esperança della città di Matola, gestito dal Servo di Maria padre Pietro.
Il mio immaginario sul continente è andato subito in crisi nel ritrovare un clima piuttosto fresco, quasi freddo. Disponevo solo di un leggero golfino di cotone; allo stesso modo, le poche convinzioni che avevo portato con me sono state del tutto insufficienti ad orientarmi in una realtà tanto diversa da tutto ciò che conoscevo e immaginavo.
Una visita di poche settimane non consente di fare grosse analisi né di esprimere fermi giudizi. Quello che mi ripropongo, in seguito alla breve esperienza in Mozambico, è il tentativo di intrecciare in un tessuto di significato le impressioni acquisite.

Sono tornato con una valigia piena di batik e di figure in ebano e con molta tristezza.
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Ho soggiornato per diversi giorni a Matola, vecchio centro residenziale portoghese a pochi chilometri dalla capitale, e ho visitato Nampula e Lichinga nel nord, facendo un paio di escursioni a Ilha de Moçambique e sul lago Niassa.

Il Lar-Nueva Esperança di Matola è gestito da un padre servita italiano, Pietro, che i mozambicani chiamano Frei Pedro. Al Lar ci si prende cura di decine di bambini privi di mezzi materiali, orfani o figli di famiglie molto povere. In funzione dell’età, i bambini vengono mandati a scuola, vengono nutriti e formati e viene loro insegnato un mestiere.
Il Lar appare una piccola oasi di ordine dentro un mare di tensioni sociali. Il Mozambico importa quasi tutto dall’estero, a partire dai generi alimentari, i cui prezzi non sono molto diversi da quelli europei. Per sopravvivere il mozambicano deve quindi garantirsi i soldi per acquistare i beni di prima necessità ma, in questo paese, la stragrande maggioranza della popolazione non ha un lavoro regolare. Le persone vivono nell’economia informale e per molti di loro l’unica maniera per racimolare qualche soldo è il furto.

Nelle città si percepisce un clima di violenza, in cui ciascuno è solo nel tentativo di procurarsi qualcosa per mangiare.

Si ha la sensazione che non esista la società ma solo moltitudini di persone che si incrociano nel disperato tentativo di sopravvivere. Anche la famiglia, nucleo costitutivo di tutte le comunità tradizionali, appare estremamente debole. Sono numerosissimi i genitori che, non formando coppie stabili, abbandonano i figli sulla strada o, nella migliore delle ipotesi, li lasciano alle cure di qualche parente.

Sembra che lo sforzo fatto dal FRELIMO, partito che da sempre governa il Mozambico, di “modernizzare” il paese, abbia sortito l’effetto di distruggere, nel giro di pochi anni, le strutture sociali tradizionali, senza riuscire a sostituirle con strutture adeguate alla modernità che il governo vorrebbe introdurre.
Perché, se risulta abbastanza facile distruggere un equilibrio sociale attraverso l’adozione di un’economia liberista, il cui messaggio implicito è che ognuno deve “correre” da solo, molto più difficile è cambiare un sistema di valori, di miti e di riti, di cui ciascun africano è portatore come elemento fondante della propria identità e delle oramai deboli, ma pur sempre fondamentali, relazioni tra le persone.
Questo elemento è alla base anche delle difficoltà di andare oltre a conversioni molto superficiali alle grandi religioni monoteiste, nonostante chiese e moschee siano presenti in tutte le regioni del paese. A detta dei missionari stessi, le conversioni risultano motivate più dalla speranza di emancipazione economica che dall’adesione sincera ai valori di Cristianesimo e Islam.

Il 1 settembre sono stato testimone di una grande manifestazione contro l’aumento del prezzo del pane. Una protesta senza leader, esplosa spontaneamente, diffusasi via sms e le cui origini profonde vanno individuate nella condizione di disoccupazione, fame e disperazione della grande maggioranza della popolazione. Secondo i dati ufficiali, negli scontri sono morte dieci persone e si sono contati centinaia di feriti. La prima dichiarazione del presidente è stata:” la povertà del Mozambico sta nella testa della gente”.

Pare evidente “l’incomprensione” di un presidente e di un’elite, imbevuti di valori occidentali, che non riescono più a comprendere né a dialogare con la grande massa della popolazione mozambicana, estranea a quei valori, e che cerca di tenersi ancora aggrappata alla propria storia. La “povertà” di cui parla il presidente Guebuza altro non è che la ricchezza e la nostalgia della popolazione nei confronti della propria tradizione. Un estremo tentativo di conservazione della propria identità.
Una nostalgia che si manifesta in maniera molto pratica, nell’incapacità o nell’estrema difficoltà dei mozambicani di sopravvivere con un sistema di regole che è il prodotto delle storia secolare dell’Europa e che, probabilmente, l’africano intuisce essere un tentativo di colonialismo culturale, molto più raffinato di quello praticato nel Novecento.
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Nelle aree periferiche, dove il modello economico liberista è meno invadente, si percepisce un maggior equilibrio nelle relazioni tra le persone e nella società nel suo insieme. Al nord, nella provincia di Niassa, si respira un’aria molto più rilassata. Tutto questo, ovviamente, non significa che la vita scorra idilliaca, significa però, ad esempio, che si ruba di meno, che si può passeggiare con maggior tranquillità e che se un africano ti avvicina non è detto che cerchi solo del denaro ma che potrebbe essere mosso da curiosità o da sincero interesse.

A rendere la situazione del paese ancora più sconfortante poi, è un’altissima mortalità dovuta alla malaria e ad altre malattie tipiche dei luoghi dove la malnutrizione è molto diffusa, al punto che, pur essendoci un’alta percentuale di sieropositivi, l’aids non sembra rappresentare una grande preoccupazione, considerato che spesso la gente muore a causa di malattie molto più banali. Il fatalismo dei mozambicani viene così rivestito da quelle che noi europei chiamiamo superstizioni oscurantiste ma che, agli africani, consentono di dare una spiegazione dei fenomeni che costituiscono la normalità del loro vivere e del loro morire.
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Se il modello liberista pare non interessarsi granché alle devastazioni sociali che esso stesso introduce e se la cultura africana è incapace di affrontare le contraddizioni tra nostalgia per la tradizione e bramosia per gli oggetti di consumo che la modernità promette, tra i pochi soggetti che affrontano in termini pratici e di elaborazione culturale tali contraddizioni, sembrano esserci i missionari.
Portatori di un sistema di valori differente da quello delle popolazioni indigene ma altrettanto fermi nella critica al modello liberista, lavorano nel tentativo di costruzione di una cultura comunitaria, libera da quei bisogni materiali che degradano la vita dei poveri. Io penso che questo sia il grande valore che l’esperienza di Frei Pedro ci insegna.

Venezia, Autunno 2010

Metangula


Nella foto sottostante l'uomo assediato e circondato è Stefano (per chi non lo conoscesse).




domenica 7 novembre 2010

Ultime dall'Albania!

Carissimi, anche questa volta abbiamo letto con gioia la vostra comunicazione. Ci sentiamo in sintonia e un pò lusingate dalle vostrec onsiderazioni. Al futuro pensiamo con la speranza e la fiducia di poter aiutare a migliorare le condizioni di indigenza dei nostri fratelli e siamo certe che la Provvidenza si fa sempre strada. Riguardo ai progetti futuri siamo con il cuore e la mente aperti per poter individuare su cosa porre la nostra attenzione e concretizzare.
Grazie anche a voi che ci aiutate e incoraggiate. Vi assicuriamo il ricordo fatto di amicizia, stima, preghiera e tanta passione per la missione. Grazie delle chiare spiegazioni per essere aggiornate e informate sui vostri progetti e servizio nel mondo. Per il periodo natalizio per ora sappiamo di certo che sr Giovanna verrà, mentre non abbiamo altre notizie.
Inviamo in allegato la traduzione richiesta.

Con affetto per la comunità di Ishull Lezha sr Gemma
La comunita di Ishull Lezhe
Da p. Pietro Andriotto, nostro "referente" in Mozambico, evidenziamo una partedella sua ultima lettera che ci sembra degna di essere posta alla nostra attenzione:

"Anche da noi la situazione è sempre più difficile e noi siamo tornati ad avere problemi di alimentazione, il poco lusso che ci avevamo dato di pensare anche a qualche cosa d’altro ora ci ha fatto un po’ tornare indietro. Esiste molta fame. Purtroppo e sembra assurdo, ma è così. La fame viene non perchè non ci sono prodotti, ma perchè costano troppo per comprarli, si incontra tutto ma bisogna avere i soldi per comprarli. E’ così che va questo benedetto chiamato “terzomondo”. E le ultime manifestazioni lo hanno evidenziato.
Bene, buona domenica e buon lavoro."

frei pietro